Due autori
che, eccezionalmente, dopo avere girovagato per l'Europa e per
il mondo, hanno fatto ritorno nel capoluogo sono Scammacca e Blunda.
Al di là delle individuali motivazioni, nelle migrazioni dei nostri
autori non è difficile scorgere una sorta di innata irrequietezza
unita a un disagio ambientale. Interessanti, a questo proposito,
sono le analisi dello storico Salvatore Costanza (uno di quegli
intellettuali che hanno sperimentato sulla propria pelle l'esperienza
della diaspora e, soprattutto, l'opzione del ritorno). Lo studioso
sostiene che, seppure negli anni immediatamente successivi al
secondo conflitto mondiale non possa ravvisarsi una reale capacità
di rinnovamento nella vita culturale trapanese, il periodo 1944-48
sia da ritenersi il meno infelice degli ultimi decenni. La scoperta
dello storicismo gramsciano poneva i più giovani di fronte a scelte
radicali: "Se non era venuta meno la fiducia nel valore vitale
della cultura come possibilità a sé di formare l'uomo, era però
ora impossibile sfuggire alle necessità politico-normative del
moderno Principe, (...) il partito (...)" (S. Costanza, Inventario
culturale del secondo dopoguerra). Ma nel volgere di pochi anni,
il quadro cittadino subirà delle forti regressioni, sino a spingere
le nuove generazioni a drastiche virate: "A poco a poco l'atmosfera
vibrante delle lotte contadine si venne illanguidendo. (...) seguì
presto un atteggiamento di sostanziale immobilità, in cui la cultura
pare come ripiegata su se stessa. L'erudizione storica, l'archeologia,
la "reverie" letteraria tornarono nuovamente in auge, forse perché
si rese molto comodo rifugiare la propria vita civica nelle passioni
innocue del passato" aggiunge lo storico. Gli intellettuali di
provincia - precisa Costanza - si trovarono davanti l'alternativa
di: "Piegarsi al clima di autocensura, instaurato più o meno apertamente
dopo il 1948; ovvero far coincidere in tutto l'impegno culturale
con le esigenze della lotta politica. (...) Il massiccio fenomeno
emigratorio, che si era iniziato nell'immediato dopoguerra ma
che assunse aspetti nuovi a partire dal '48, fece venir meno di
per sé un potenziale elemento di rottura di tale azione involutiva,
allontanando le forze più giovani e consapevoli". Nella dilagante
"defezione" intellettuale, lo storico trapanese discerne, oltre
al valore umano, sociale e "mitico": "(...) un fatto di irresolutezza
e d'evasione, che porta a svuotare d'ogni apprezzabile significato
la relazione dialettica tra storia e cultura, tra cultura e società.
(...) Alcuni mediteranno la fuga per tutta la vita; ad altri accade
un giorno di intraprendere il viaggio (...). Per chi resta non
c'è che l'isolamento, cui lo costringe intanto la sfiducia che
qualcosa possa veramente cambiare, e al quale si accompagna, il
più delle volte, la stanchezza e il rancore". Con tali sfavorevoli
presupposti si spiega il pesante giudizio dello studioso sulle
strutture culturali e sulle attività artistiche espresse dal nostro
territorio: "(...) riducendosi le iniziative culturali ad una
normale "presenza", dignitosa quanto si vuole, ma ormai priva
di genuini fermenti, e sostanzialmente sclerotizzate in forma
di vacua impersonalità: si tratta di una presenza, peraltro, che
più spesso adombra la funzione prevalentemente ricreativa delle
varie associazioni e le connesse vanità "civili" di una borghesia
oltremodo sensibile alle sollecitazioni del potere politico (...).
L'attività dei nuclei intellettuali cittadini, per il carattere
chiuso, spesso aulico e insincero, ristagna quasi sempre in un
ambiente ristretto (...)". |