A conclusioni
analoghe era giunto, un decennio prima, un altro scrittore, trapanese
d'elezione, Filippo Cilluffo (noto per i suoi saggi sciasciani,
elogiati dallo stesso Racalmutese): "(...) la nostra vita culturale
è stata ed è una serie ininterrotta di tentativi ed è passata
dai difetti della crescenza a quelli dell'accademismo, del conformismo,
del professionismo spicciolo; se si eccettuano due o tre mostre,
un paio di riviste, qualche volume di atti ed alcune organiche
conferenze, non abbiamo prodotto né organizzato niente che lo
storico futuro debba mettere in luce (...)" (F. Cilluffo, Profilo
della vita culturale della Provincia di Trapani dopo la liberazione).
Le disamine di Costanza e Cilluffo, relative ai primi decenni
del secondo dopoguerra, seppure non sono sovrapponibili in toto
all'intero secolo appena concluso, che presenterebbe connotati
più vari e complessi, verosimilmente colgono alcuni elementi ricorrenti
nella storia culturale trapanese. Ritornando al Novecento letterario,
è forse di qualche utilità provare a individuare le sollecitazioni
e i motivi prevalenti nella produzione dei nostri autori che,
per grandi linee, ci sembrano essere: la storia, il costume, la
politica (Blunda, Badalucco, Bruno, oltre a Titone, Gentile, Rodolico
ed altri ancora); il tempo, la memoria, la sicilianità, il volontario
esilio, la famiglia, la solidarietà umana, Dio, la natura (Marrone,
Centonze, Tosto De Caro, De Vita, Agueci, Sardo); il linguaggio,
l'engagement culturale (Marrone, Napoli, Zinna, Porcelli, D'Erice,
Antigruppo, ecc.); l'amore e la donna (Napoli, Porcelli, Diecidue,
Fiorentino, Scammacca, ecc.); le costumanze e il folklore locali
(Favara, Centonze, Giambalvo, Castelli, Mondello, Fodale, Giangrasso,
Atria); il fantastico, la critica sociale, la sperimentazione
(Scaramuzzino, Porcelli, Salvo, Gallo, Zinna, ecc.); la classicità,
la tradizione, il mito (Fiorentino, F. Vivona, N. Vivona, Messana,
Calandrino, Fici Li Bassi). Malgrado la varietà del quadro delineato,
con non poca difficoltà si potrebbe attribuire all'intera area
un volto ben definito e riconoscibile, scontornarne un quid distintivo
e qualificante. Molte delle orbite a cui si sarebbe potuta indirizzare
questa letteratura sono, peraltro, rimaste lontane oppure appena
sfiorate: pensiamo ai temi sociali e politici, del ritardo culturale,
dell'etica individuale e collettiva, dei rapporti di coppia e
della morale sessuale, della condizione economica, della mafia,
della realtà giovanile, dell'"attualità" e così via. Accortamente,
forse, molti di questi scrittori si sono risparmiati di scendere
sui terreni più spinosi e stringenti del quotidiano vivere associato.
Il loro rapportarsi con le peculiarità dello status di siciliani,
di trapanesi, appare, in genere, piuttosto distante e rarefatto.
Perfino i volitivi e impetuosi "antigruppo", che pure, programmaticamente,
avrebbero propugnato e adottato rinnovate forme di comunicazione
e di intesa con parti della società solitamente oscurate, hanno
dovuto registrare un mordente relativamente scarso sulla realtà
provinciale, forse scontando posizioni e atteggiamenti talvolta
confusi, antinomici, rissosi, quando non altisonanti e populistici.
Altro grave limite della storia letteraria novecentesca trapanese,
si potrebbe ravvisare nell'assenza di un autore radicalmente e
globalmente rappresentativo dell'identità territoriale, un personaggio
a tutto tondo, alla Vittorini, alla Sciascia, alla Verga, alla
Brancati, per intendersi; la mancanza, cioè, di genius loci in
cui riconoscersi e riflettersi per poter cementare un'icona comunitaria.
Era questo, verosimilmente, il significato di una apparentemente
ingenerosa semplificazione di Camilla Cederna, quando scrisse
che "Trapani è l'unica città della Sicilia che non ha scrittori
e letterati. |