La provincia trapanese
è stata, spesso, rinnegata anche nella considerazione dei suoi stessi
critici letterari (e sono stati assai numerosi, guarda caso). Curiosamente,
lo studioso che con maggiore costanza e attenzione si sia occupato
dei nostri letterati del Novecento è stato l'agrigentino Giuseppe
Zagarrio (Sicilia e poesia contemporanea, 1964; Poesia fra editoria
e anti, 1971; Linguaggio e categorie della sicilitudine. Il contributo
dei siciliani alla poesia italiana d'oggi, 1980; Febbre, furore
e fiele. Repertorio della poesia italiana contemporanea 1970-1980,
1983). La storia della cultura trapanese del secolo scorso ha certamente
un suo retroterra anche nella stampa locale di fine Ottocento, dove
- come sottolineava il Gentile - pervasiva risultava l'infiltrazione
di autori come Rapisardi (ne sono riprova i periodici trapanesi
"La Falce", 1898; "Il Martello", 1902-1903; "La Lotta", 1909-1910)
e, soprattutto, Stecchetti, la cui figura aleggia in molta stampa
dell'epoca: "Helios" (Castelvetrano), "La Falce" (Trapani, 1898),
"Il Lavoro" (Trapani, 1899), "La Democrazia" (Trapani, 1899-1900).
Se la più avveduta intellighenzia si sottrasse ai gravami della
pesante retorica e del kitsch di tali "numi", non si può negare
che la loro influenza abbia agito sull' aura complessiva. Proprio
sul finire dell'Ottocento, nella provincia, cominciavano a maturare
le primizie delle fervide menti, oltre che di Gentile, di Niccolò
Rodolico e di Tito Marrone; tutti e tre avevano studiato al Liceo
Classico "Ximenes" di Trapani. Non sarebbe incongruo, insomma, collocare
nell'ultimo decennio dell'Ottocento un punto di snodo nella storia
culturale trapanese, proprio in coincidenza con la comparsa della
straordinaria triade citata, emblematica, per molti aspetti, della
condizione e delle prospettive del Vallo. Tutti e tre quegli autori
- analogamente, peraltro, a molti altri intellettuali siciliani
-, lasceranno la Sicilia, ancora giovanissimi, per proseguire altrove
i loro percorsi. E questo dato, se si vuole extraletterario, costituisce
una delle caratteristiche dominanti della Trapani novecentesca:
la spoliazione delle energie migliori; la loro, più o meno volontaria,
estromissione dall'Isola. Nella nostra provincia questo fenomeno
è stato cospicuo e particolarmente devastante se è vero che - a
differenza di quanto, per lo più, è avvenuto in altri analoghi "casi"
siciliani - esso si è manifestato in maniera, per così dire, anticipata
(cioè ancor prima che il transfuga potesse lasciare calchi significativi)
e, solitamente, col carattere dell'irreversibilità (quasi tutti
i nostri "esuli" non solo non sono più ritornati nella loro terra
d'origine, ma neppure hanno potuto, di riflesso, essere di vantaggio
all'avanzamento civile e culturale dei luoghi di provenienza). Con
l'ulteriore, involontario fall-out, a danno degli stessi autori,
di dover sopportare il destino degli sradicati, degli apolidi, cioè
di essere maggiormente esposti agli umori delle epoche e degli estimatori
(paradigmatica potrebbe essere, al riguardo, la bistrattata figura
di Tito Marrone, pressoché scippato dei suoi meriti e messo da un
canto, a Roma come in Sicilia). La provincia trapanese (se si eccettuano
Tosto De Caro, De Vita, Porcelli, l'Antigruppo e poco altro ancora)
può dirsi che non abbia dispiegato una propria cultura letteraria
in loco. Zinna e Caracci si stabilirono a Palermo; Marrone, Badalucco
e Vivona a Roma; Napoli a Milano; Fiorentino a Siena e così via.
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