E poi
aggiungeva: "Fu una letteratura cresciuta all'ombra delle accademie,
frutto di una società essenzialmente cortigiana, che sentiva la
poesia come espressione d'ingegnosità e di virtuosismi formali".
Mentre "La poesia in dialetto custodiva i sentimenti più intimi
del popolo e, sotto la dominazione straniera, impediva che l'isola
si spagnolizzasse (...)". La condizione degli autori trapanesi
del XVII secolo si rispecchia pienamente nei giudizi dello storico
della letteratura castelvetranese. Si può, peraltro, notare come
tutta la Sicilia non diede in quel secolo grandi scrittori. E',
a questo punto, da precisare che a Trapani, nei secoli XVII e
XVIII, sorsero, in ossequio alle mode dell'epoca, molteplici accademie
letterarie. Da uno studio di Giuseppe Malato (Le Accademie Trapanesi)
si apprende che, nei primi anni del Seicento, Vito Sorba fondò
l'Accademia della Lima, di cui fece parte anche il poeta trapanese
Cosimo Pepe. Da quella derivò l'Accademia della Civetta, tra i
cui membri ebbe Giuseppe Barlotta e Giuseppe De Nobili, e che
cessò intorno al 1685. A questa ultima si rifece l'Accademia degli
Occulti della Civetta, che dovette operare, presumibilmente, dal
1690 al 1760, anno in cui, ad opera del patrizio Niccolò Burgio,
fu denominata La Nuova Accademia della Civetta. Di essa furono
esponenti notevoli, oltre al Burgio, Bernardo Bonajuto, Giuseppe
De Luca, Giuseppe Maria Di Ferro e Giuseppe Marco Calvino. Alcuni
dei più rappresentativi tra gli autori citati aderirono anche
ad altri analoghi consessi: così, ad esempio, il Burgio fece parte
dell'Arcadia (che istituì una "colonia" anche a Trapani) e del
Buon Gusto di Palermo; e il Calvino, oltre che dell'Arcadia, fu
socio della Tiberina e della Classe di Letteratura e Belle Arti
del Reale Istituto Palermitano. D'altra parte, scrittori non trapanesi
militarono nella Civetta, come la signora Girolama Laurifice,
autrice della raccolta lirica La Dama in Parnaso. Nel Prospetto
dello Scinà è anche ricordata la marsalese Accademia dei Vaticinanti.Proprio
il Calvino, in più occasioni, ebbe parole di fuoco (pubblicate
postume) sulle insulsaggini e la boriosità di quelle fatue e scellerate
conventicole. "La letteratura arcadica - scrisse Santangelo -
anche nell'isola trovò dunque terreno propizio nelle Accademie:
si ebbe perciò una ricca produzione lirica amorosa, svenevole
e convenzionale (...). (...) una vita salottiera, abbellita di
dame incipriate e di cicisbei galanti, schiava della moda d'Oltralpe,
rilassata nei costumi e nelle tradizioni familiari, amante delle
feste, di una particolare forma di svago, la villeggiatura, e
di forme di vita esteriore". Ma accanto ad un'arcadia pastorale,
ve ne fu una erudita, assai più solida, rappresentata in Sicilia,
tra l'altro, da Giovan Battista Caruso, Giovanni Meli, Antonino
Mongitore e vari altri scrittori. I tre principali autori trapanesi
operanti tra Settecento e Ottocento sono Bernardo Bonajuto (1714-1784),
Giuseppe Marco Calvino (1785-1833) e Niccolò Burgio (1741-1834).
Bonajuto, segretario presso i principi di Castelfranco e di Lercara,
fu molto rinomato in Sicilia e pubblicò liriche burlesche (Rime
giocose) e opere drammatiche religiose: in particolare, La conversione
di S. Margherita di Cortona, testo, a suo tempo, tra i più rappresentati
in Sicilia e più volte ristampato; godibile ancora oggi, vi si
fa, tra l'altro, rivivere la buffa maschera di Nardo Nappa (F.
De Felice, Storia del teatro siciliano). |