Può essere
qui opportuno richiamarsi al prestigioso filosofo e critico letterario
castelvetranese Giovanni Gentile per tentare di inquadrare tale
interrogativo in un contesto più congruo: "La cultura siciliana
nella seconda metà del secolo XIX conserva quasi del tutto immutato
il carattere (...) che si potrebbe definire "materialistico" nel
più largo senso di questa parola poiché questo è appunto il significato
di quell'avversione generale al romanticismo (...). Era bensì
cultura letteraria; ma di una letteratura tutta formale, che riducevasi,
cioè, allo studio della forma astratta della lingua e dello stile
dei classici (...). Gli animi erano vuoti di un proprio contenuto
(...). "Antiquam exquirite matrem", amava ripetere il buon Vincenzo
Di Giovanni, scrittore così pienamente e schiettamente rappresentativo
della cultura contemporanea della Sicilia. (...) essi tutti amavano
l'erudizione per l'erudizione (...)" (G. Gentile, Il tramonto
della cultura siciliana). E il Di Giovanni, essendo nativo di
Salaparuta, potrebbe anche assumersi ad emblema della provincia.
Il filosofo dell'attualismo stigmatizzava anche taluni vizi del
"sicilianismo" e, principalmente, la sterile supponenza municipale
e regionale. Tra gli intellettuali trapanesi fin de siècle, a
cui il Gentile concesse credito, vi erano: Alberto Buscaino Campo
("che fu dei più esperti conoscitori della lingua e della grammatica
italiana"), Ugo Antonio Amico ("umanista assai colto e delicato"),
Eliodoro Lombardi (tra "i più noti scrittori dell'Isola"). Interessante,
in relazione a quanto avveniva nella provincia trapanese, è un
altro rilievo del nostro filosofo: "(...) i giovani siciliani
imparavano a memoria le poesie dello Stecchetti e si godeva delle
scipite spiritosità della sua Polemica". Si capisce, dunque, con
quale spirito il Gentile guardasse alla condizione occidua della
cultura dell'Isola. Egli intravvedeva il declinare di una secolare
e precipua fisionomia isolana e rimpiangeva gli ultimi illustri
maestri che, a suo dire, l'avevano impersonata (Pitrè, Di Marzo,
Salomone Marino); al contempo, celebrava, o auspicava, la morte
della grettezza sicilianista, in forza della definitiva confluenza
dell'animus regionale in quello più rigoglioso della Nazione.
Risulterebbe difficile, anche oggi, non concordare col Gentile
nell'aspirazione al superamento dei provincialismi, degli autoincensamenti
e delle "tare" della cultura siciliana; sarebbe, invece, stata
smentita, alla luce di quanto avvenuto nel corso del Novecento,
l'idea gentiliana di un prossimo, incombente assorbimento della
vita intellettuale e artistica siciliana nel più fecondo e avanzato
panorama nazionale, seppure in quello necessariamente sia maturata
e confluita. E perfino all'interno del più stretto raggio dell'Isola,
a ben vedere, sarebbe possibile circoscrivere realtà molteplici
e variegate. Sulle insidie del sicilianismo e sull'humus che intriderebbe
il sentire degli Isolani, pagine di acuta intelligenza ha scritto
un altro importante studioso, lo storico e letterato Virgilio
Titone (Castelvetrano 1905 - 1989), che, titolare della cattedra
di Storia moderna nell'Università di Palermo, fu, tra l'altro,
autore di rimarchevoli saggi su Boccaccio, Leopardi, Carlo Denina,
Luigi Natoli, Federico De Roberto, Elsa Morante, Simenon e collaboratore
di alcuni dei principali quotidiani e periodici italiani. |