Inediti - I vostri testi
In questa pagina potrete leggere i migliori lavori pervenuti al nostro sito. Stazioneranno per una o più settimane, poi cederanno il posto ad altri scritti meritevoli.
21/24


Le loro madri, donne kurde vissute in montagna, si trovarono nell’acqua mostruosa di quel mare, non avevano sotto i piedi che fuga e rovina, circondate orribilmente dalle onde sminuzzate dal vento. Scomparivano, riapparivano, s’immergevano e risalivano lanciando urla disperate; chiamavano i figlioli, tendevano le braccia nelle tenebre, ma nessuno le sentiva, e mentre il rollio dell’abisso le trascinava via sembrò loro che tutta quell’acqua, quel mare, fossero odio.

Il vecchio kurdo dai capelli candidi, quel dannato della civiltà, afferrò un bambino che stava affondando, si sforzò di nuotare ma non lo seppe fare, tentò di sostenersi, combatté l’inesauribile e bevette l’amaro mentre l’enormità giocava con la sua agonia poi, con quella speciale lucidità e nitore che acquistano i contorni delle cose dal loro dialogo con il buio imminente, capì che morire non era niente; era spaventoso non vivere, e, esausto, fluttuò per sempre nelle lugubre profondità che lo inghiottirono.

Molti altri tentarono di rimanere a galla mentre l’istinto di conservazione urlava, e l’io privo d’occhio scalciava allontanando chi cercava di aggrapparsi. E ognuno per sé, assistettero alla demenza di quel mare nuotando in avanti, immensi sonnambuli di un sogno naufragato, prima di affondare a poco a poco nelle gelide tenebre in cui scompaiono tante teste sfortunate nella tetra marcia dei popoli.

In quella catastrofe del genio umano alle prese con l’innominabile, perirono quarantatre persone.

Aleksandra si trovò in acqua; dapprima, tutto ciò che provò era incoerente, tumultuoso, e il cuore le batteva anche nei denti. Poi, tutto in lei si mise a lavorare, l’istinto che fiuta e l’intelligenza che organizza. Portò subito un braccio al petto e serrò contro di sé la piccola Valbona che era rimasta sotto il cappotto abbottonato della madre. Aleksandra, nata e cresciuta in una città marinara, si distese sulla superficie dell’acqua, si sbottonò il pesante cappotto e se ne liberò, lasciando sul petto Valbona piangente e presa da un tremito. Si sbarazzò di tutti gli indumenti che potevano appesantirla poi chiamò forte:

— Gezim!

Il nome di suo marito si spense nel buio senza neppure svegliare un’eco, e a Aleksandra parve che l’investisse come un vento di sciagura. Tenette a lungo le labbra convulsamente contratte per arrestare i singhiozzi, poi chiamò di nuovo:

— Gezi-i-im, sono qui, Gezi-i-im, dove sei-i-i.

Il silenzio rimase profondo, come prima, lasciando Aleksandra con gli occhi spalancati a fissare il buio, lo spirito oppresso dal suo carico di dolore.

Si lasciò trasportare dalla corrente, economizzando le sue forze, Valbona sul petto, attaccata al seno con quella toccante fiducia dei bambini che può essere sempre ingannata senza mai scoraggiarsi.

La lunga notte giungeva ormai al termine; il crepuscolo imbiancava nel mare le creste delle piccole onde e basse filacce di nebbia sottile strisciavano sulla superficie dell’acqua e se ne staccavano come folate di fumo quando Aleksandra scosse la sua bimba e la chiamò in vano più volte. Rimase con gli occhi fissi su colei che non vedeva più gemendo di un gemito discontinuo che usciva da una bocca irrigidita con i denti serrati, un gemito inarticolato e soffocato, sempre accompagnato da un movimento desolato del capo, senza che l’espressione del volto si alterasse come se le sue fattezze si fossero raggelate dalla sofferenza; ma le lacrime, questo primo sfogo dei grandi dolori, non veniva a Aleksandra immersa com’era in quella pesante sensazione di perdita e di dolore dentro la quale non riusciva a distinguere nient’altro e che faceva tremare tutte le sue idee rendendola quasi folle. Poi, con le pupille vaghe, colme dello sbalordimento della violenza del suo presente, guardò davanti a sé. Aveva alle spalle il sole che si stava appena alzando e fluttuava un misero chiarore crepuscolare, vide sull’orizzonte una gigantesca falesia che si stagliava severa e livida, con alcune nuvole bassissime che sembravano appoggiate su di essa formando un effetto particolarmente sinistro, e, per una sorta di penetrazione quasi fisica, quel funereo profilo aggiunse allo stato violento della sua psiche un che di lugubre. Così, con una progressione impercettibile,la sensazione di perdita si trasformò in una disperata consapevolezza di tutto ciò che era andato disperso…Pianse abbracciando straziata il corpicino assiderato di Valbona mentre un vento non forte girava intorno per un faraglione con un suono sordo simile ad un basso e lento mormorio gonfio di tristezza. Poi un ineffabile sorriso si diffuse sulle sue labbra illividite e una grinza triste solcò la sua guancia, strinse al cuore Valbona e si lasciò inghiottire da quel mare globale dove milioni di persone vivono così, sommerse6.

 
Biblioteche della Provincia | Letteratura Trapanese | Storia | Appuntamenti | Autori | Consulenza | Novità Librarie | Librerie & Editori | Inediti