Inediti - I vostri testi
In questa pagina potrete leggere i migliori lavori pervenuti al nostro sito. Stazioneranno per una o più settimane, poi cederanno il posto ad altri scritti meritevoli.
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Senza guardare Gezim, Aleksandra portò il thermos alle labbra ma il tè le si fermò in gola, come se stesse soffocando, e le gocciolò fuori della bocca.

Durante questo tempo interminabile, Fatmir, l’apprendista, si era limitato ad eseguire le istruzioni di Imer che, ormai, teneva la testa fra le mani, immerso nelle sue elucubrazioni. Si alzò di scatto e con atteggiamento di bella fierezza fissò l’immenso mare da dominatore, ruppe il silenzio ed esclamò con un sorriso di sprezzo che gli errava sulle labbra:

— Io non temo il mare, io vi salverò!

Quel piccolo macchinatore d’espedienti, con gli occhi che dardeggiavano genialità, staccò la chiave dal contatto, lo smontò, fece toccare alcuni fili elettrici e il trabocchetto della salvezza si era improvvisamente aperto sotto il gommone facendo udire il ronzio dei motori.

E’ più facile immaginare che descrivere quello che passò nei cuori. Gli occhi della donna kurda che prima piangeva si riempirono di gioia, il viso ancora inondato di lacrime, e parlando in kurdo essa si fece avanti verso Fatmir, lo strinse a sé e gli carezzò i capelli. Erano gesti così espressivi che non occorreva aggiungere parola, e Fatmir la comprese benissimo come se ella avesse pronunciato le parole in albanese.


Prima di ripartire, nuvole nere si accumularono riempiendo tutto il cielo, e il vento venne a gemere sopra il mare. Imer guardò l’orizzonte buio e disse:

— Ci stanno aspettando vicino Santa Cesarea Terme e dovete assolutamente sbarcare prima dell’alba; siamo in ritardo e il mare è cambiato ma, con l’aiuto di Dio ce la faremo.

Il gommone, circondato dall’oscurità, ripartì spinto da entrambi i motori. Imer era al timone in piedi accanto a Gezim, ma non si parlavano; forse, nella regione più vaga della loro mente, facevano dei raffronti fra quell’orizzonte minaccioso e la loro esistenza.

I corpi dei viaggiatori si erano serrati nel freddo gli uni contro gli altri alla ricerca di tepore e molti, sfiniti, si addormentarono ma il loro sonno non durò a lungo perché il gommone lanciato nella distesa lugubre urtò contro un ostacolo. Nessuno seppe che cosa fosse e si trovarono tutti catapultati in acqua.

Il corpo dello scafista, per inerzia, sbatté violentemente contro il timone, e Imer perdette i sensi rimanendo tuttavia nello scafo in vetroresina squarciato che s’inclinò rapidamente imbarcando acqua a causa del contemporaneo scoppio della parte pneumatica, e sotto il peso dei motori s’inabissò trascinandolo con sé. Sulla superficie dell’acqua si formarono oscuri cerchi concentrici, un tremito, poi il nulla.

Gezim invece era finito sotto le eliche dei motori che nitrivano come cavalli imbizzarriti. Tentò di difendersi emergendo e si lasciò fluttuare sulla superficie dell’acqua, l’addome e il petto indicibilmente lacerati, il respiro intermittente tagliato da un rantolo. Aprì lentamente gli occhi, dove si vedeva già apparire la cupa profondità della morte, e vide un cielo tenebroso, simile ad un infinito sudario; emise un grido e solo la notte conobbe il segreto delle sue convulsioni mentre scompariva sott’acqua.

Nel contempo, i flutti si gettarono i bambini l’un l’altro. I loro miserabili corpicini erano punti nell’immensità delle onde, tendevano le piccole manine ma afferravano il nulla chiamando la madre con la voce rotta dall’asma degli ultimi respiri e spalancando tanto d’occhio con un’espressione che nessuna lingua umana potrebbe descrivere. Poi, paralizzati dal freddo senza fondo, loro, povera forza subito esaurita, si lasciarono fare, si lasciarono andare; si spensero nell’immensità di quel mare come si perdono i cerchi formati nell’acqua e i loro corpi si depositarono nella temibile fossa comune come tanti birilli, disponibili per le partite giocate dai potenti.