E' soltanto
a partire dal secondo millennio dell'era cristiana, nel guado
dalla dominazione araba a quella dei Normanni, che si può documentalmente
avviare un tentativo di tracciare le linee generali dell'itinerario
della letteratura - intesa nella odierna, circoscritta accezione
- di "espressione" trapanese. I nomi dei primi autori di cui si
tramanda notizia sono, infatti, quelli di due poeti arabi nati
a Trapani: Soleiman-ibn-Mohammed, oriundo di Mahdia (citato dall'Amari
nella sua Storia dei Musulmani in Sicilia), vissuto nel secolo
XI e trasferitosi in Africa nel 1048 e poi in Spagna; e 'Abd 'ar-Rahman,
detto il Segretario, del quale ci è pervenuta una kasida: 'Al
Fawwa rah (La Polla), in cui, con languido trasporto, viene descritto
il giardino della Villa Reale di Ruggero II. Francesca Maria Corrao
(arabista di origini alcamesi), nel volume Poeti arabi di Sicilia
(che contiene la citata composizione in una versione di Mario
Luzi), delineando le coordinate di sviluppo della lirica araba
dal VI all'XI secolo, puntualizza che sotto la dinastia abbàside
(749-1258): "Il poeta moderno non è più il solitario beduino che
vaga ramingo per le assolate lande desertiche. (...). Quella dei
poeti è ora solo una élite, che conduce vita agiata negli eleganti
palazzi circondati da una natura lussureggiante, ed è avvezza
a sontuosi convivi illeggiadriti dalla presenza di musici e danzatrici.
In questa atmosfera di simposi raffinati e libertini, di circoli
letterari spregiudicati, trionfa la poesia neoterica, descrittiva,
erotica e soprattutto bacchica". Ma con l'avvento dei Normanni
i poeti arabi di Sicilia cantarono anche la nostalgia di un mondo
che tramontava: "I poeti arabi della corte di Ruggero II, restarono
fedeli agli schemi neoclassici, anche se l'oggetto delle loro
attenzioni non era più il lontano deserto ma le splendide ville
dei Normanni. Valga qui l'esempio di 'Abd 'ar-Rahman di Trapani,
uno dei maggiori rimatori di quella corte. Con la morte di Ruggero,
le espressioni culturali islamiche nell'isola si avviavano verso
il lento declino". La Corrao non manca, inoltre, di cogliere i
legami tra quelle vicende e l'operosità della corte di Federico
II, che parlava l'arabo, lingua allora praticata come il greco
e il latino: "In questo ambiente (...) nasce la scuola poetica
siciliana. Alla corte di Federico affluiscono i Provenzali e Ciullo
D'Alcamo compose i primi versi in lingua volgare. Sono componimenti
che si ricollegano alle forme a agli spiriti della poesia trovadorica".
Malgrado tali collegamenti siano controversi e dibattuti da arabisti
e da filologi romanzi, gli studiosi hanno evidenziato le molte
ragioni che depongono a favore di siffatti contatti e influenze.
"Il più antico documento della nostra letteratura è comunemente
creduto la cantilena o canzone di Ciullo (diminutivo di Vincenzo)
di Alcamo (...)", così esordisce Francesco De Sanctis nella sua
Storia della letteratura italiana. Sebbene questo dato oggi non
sia più così sicuro, sarebbe potuto essere di buon auspicio poter
vantare un autore siciliano, e verosimilmente del trapanese, alle
origini della poesia nazionale: "Il massimo documento che testimonia
dei rapporti tra poesia popolare e poesia d'arte è costituito
dal celebre componimento Rosa fresca aulentissima (...). Il tema
(...) è quello del contrasto amoroso, comune alla poesia delle
origini: si crede oggi che in esso possa ravvisarsi un documento
in cui si continua l'antica tradizione del canto amebeo, rifiorito
in Sicilia, terra dei mimiambi, e che l'autore sia esso stesso
il protagonista del mimo" (G. Santangelo, Letteratura in Sicilia
da Federico II a Pirandello). Non consterebbero autori trapanesi
del XIV secolo meritevoli di memoria, mentre sul finire del XV
si ebbe un gran germoglio di umanisti, seppure di portata e interesse
diversi: "Palermo fu un centro irradiatore che inondò di studi
umanistici (più latini che greci) Mazara, Marsala, Trapani e Alcamo. |