Inediti - I vostri testi
In questa pagina potrete leggere i migliori lavori pervenuti al nostro sito. Stazioneranno per una o più settimane, poi cederanno il posto ad altri scritti meritevoli.
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Aleksandra sentì qualcosa dentro di sé, in profondità gridare di panico e un brivido le passò per il corpo come un presagio di morte, e nella sua mente sconvolta cominciava il ribollio di mille congetture che riempivano di sinistri bagliori i suoi occhi. Si chinò su Valbona che la guardava come un uccellino pieno di buone intenzioni, poi tese i muscoli della schiena e del volto per tenere a bada il tremito e vincere il senso di terrore che l’aveva pervaso, e, dopo aver ripreso un certo dominio sulla propria angoscia domandò a Gezim:

— E l’altro motore?

— Quello dovrebbe funzionare ancora, non è stato usato, ma non possiamo ripartire senza aggiustare quello in avaria, è troppo rischioso non averne uno di riserva.

Aleksandra si voltò verso Imer, vide che stava maneggiando il fuoribordo guasto sotto la luce di una torcia che Fatmir teneva in mano, e le sembrò che la morsa di ferro che le stringeva il cuore da qualche minuto si allentasse.

Annottava e soffiava un debole vento freddo.

La piccola Valbona assunse il suo pasto con un’aria tanto conciliante che pareva chiedesse addirittura scusa al biberon per la libertà che si prendeva di popparlo, poi la madre la protesse dal freddo, sistemandola fra il petto e il cappotto abbottonato.

Dopo più di un’ora di tentativi, Imer aveva detto in italiano, con una smorfia, come si ricordasse l’estrazione di un dente:

— Un brutto affare — poi interpellò tutti con uno sguardo pieno delle energie della disperazione. Fu quasi un’esplosione: — Questo fottuto giapponese non ne vuole sapere di riavviarsi e siamo più vicini all'Italia che a Valona. Fanculo, se siete d’accordo continueremo il viaggio con un solo fuoribordo, ma pregate per il mio ritorno a casa.

Joshua tradusse in inglese a Salah che, a sua volta, tradusse in kurdo. Dapprima ci fu un breve silenzio perché le violenze del destino hanno questo di particolare, esse ci strappano dal fondo delle viscere la natura umana; poi qualcuno parlò in nome di tutti con aria di superiore saggezza:

— Partiamo, fratello. Il Gran Dio ti farà sicuramente grazia durante il tuo ritorno.

Imer girò la chiave e premette il pulsante per avviare il fuoribordo…Provò una seconda volta, poi una terza…Bestemmiò e si fece smarrito tingendosi a poco a poco di spavento, il corpo agitato da un tremito impercettibile, facendo sprigionare nel gommone una sorta di bruma visionaria, e l’allucinazione della catastrofe s’impadronì di tutti spalancando precipizi pieni di notte.

Lo scafista tornò a maneggiare i motori e a controllare l’impianto elettrico, e nei suoi occhi illuminati dalla torcia si vedevano passare frequenti scatti d’impazienza.

Passò molto tempo e i cuori erano oppressi.

Una donna kurda aveva messo le braccia conserte, lasciandosi un po’ oscillare avanti e indietro poi fu sopraffatta da un accesso incontenibile di pianto angosciato e cominciò a parlare alle altre donne con un’aria insensata, grave e straziante; piegata in due, scossa dai singhiozzi, accecata dalle lacrime, torcendosi le mani e tossendo di una tosse secca e breve. Molti bambini piansero aggrappandosi alle loro madri. Accanto a Aleksandra sedeva il vecchio kurdo dai capelli candidi e dalle scosse delle sue spalle lei vide che stava piangendo; un pianto silenzioso, pianto terribile. Si sentì colpita dal suo dolore cupo e taciturno, e tutte queste cose, realtà piene di spettri, fantasmagorie piene di realtà, avevano finito per crearle una sorta di condizione interiore quasi inesprimibile. Il cuore le mancò di nuovo, sopraffatto da palpiti frenetici, quasi di terrore, come se avesse appena perso qualcosa o stesse per perderla per sempre. Si voltò verso Gezim e gli disse con una voce che era più vicina all’urlo che alla parola:

— Moriremo tutti, moriremo tutti, te l’avevo detto, te l’avevo detto…

— Zitta, stai zitta, sei stata tu a portarci iella — replicò Gezim aspro, scotendo contro di lei l’indice.

Aleksandra tacque comprimendosi il petto con la mano, come per impedire il prorompere della tempesta che le infuriava dentro. Solo un gemito le uscì dalle labbra e più volte i suoi occhi neri luccicarono e poi si spensero, come fiamme soffocate, nella notte. Infine venne il momento che ella serrò le labbra e inghiottì profondamente, ma due lacrime le rimasero negli occhi e Gezim le vide cadere e scivolare giù, lentamente, sulle guance, una per parte. L’abbraccio addolorato, poi le porse il thermos del tè e le disse con la voce ridotta ad uno sgomentato sussurro:

— Bevi, Aleksandra…perdonami.