Uscì dal ruscello completamente zuppo e confuso e si ritrovò
al collo la bambina che non smetteva di ringraziarlo e baciarlo.
Le diede il cagnolino e un bacio in fronte, gioì della
felicità di lei mentre la vedeva riempire di coccole il
cane, poi le chiese dove abitasse e come mai fosse da sola nel
bosco.
«Abito nella
malga, coi nonni e mia sorella. Ci stiamo fino a settembre, poi
torniamo in città perché mia sorella deve fare i
concerti»
«E in città
ti fanno tenere il tuo cagnolino?»
«Sì,
per fortuna sì. Però a me piace di più stare
in campagna, tra i boschi, a raccogliere more e mirtilli e correre
con Lucy sui prati. Vuoi venire da noi ad asciugarti?»
Bruno ripensò
alla statua di sale e a quanto appena successo. «No, grazie...
preferisco asciugarmi al sole. Ma tu sei sicura di saper tornare
a casa da sola?»
«Certo, io
sto in giro tutto il giorno e conosco il bosco meglio delle guide
alpine. Grazie per aver salvato la mia Lucy. Se torni qui vienimi
a trovare alla malga, ti prego. Anche Lucy sarà contenta.
Verrai?»
«Verrò,
stai certa. E se tu non ci sarai chiederò ai tuoi nonni
quando ti potrò trovare.»
Si inginocchiò
davanti a lei, accarezzo la cagnetta che ancora tremava di paura,
poi accarezzò i capelli della bambina e rimase stordito
da un suo guizzo con il quale gli regalò un fuggevole bacio
sulle labbra.
«Ora siamo
fidanzati, quindi devi tornare per forza»
Bruno sorrise e
colse il batticuore della bambina. «Certo - rispose tenero
e serio - non posso mica abbandonare la mia fidanzata così.
Ma ora vai, che magari ti aspettano»
Gli occhioni di
lei non lo lasciarono, nonostante si allontanasse per il sentiero.
Lui la salutò mandandole una bacio. Allora lei sorrise,
rise forte di felicità e prese a correre fra gli alberi
finché sparì dietro una siepe.
Bruno cominciò
a togliersi di dosso quella roba zuppa d'acqua. La stese al sole
e lui pure si sdraiò sull'erba, non propriamente al sole,
ma lasciando che la sua luce e il suo calore fossero filtrati
dalle foglie. Non poteva essere stato un caso che fosse successo
tutto così. E le coincidenze cominciavano a diventare troppe.
Lui che stava fuggendo dai ruoli che aveva recitato per tutta
la vita, si era trovato nella condizione di doverne recitare un
altro a tutti i costi, quello dell'uomo forte, sicuro, capace
di risolvere tutti i problemi. Era sempre stato il personaggio
più gettonato, e lui ci si era adagiato più e più
volte: svegliandosi era la prima cosa che gli era venuta a nausea.
Dover dimostrare qualcosa... Proprio quando aveva deciso di abbandonare
il ruolo, di deludere la bambina, di liberarsi finalmente da quelle
catene... proprio in quel momento fu il personaggio a saltargli
addosso e non ebbe nemmeno il tempo per evitarlo. Lo chiamassero
destino o caso o coincidenza, poco cambiava. Bruno pensò
e capì che in quel momento non aveva voluto essere altro
che se stesso, con le sue debolezze e i suoi errori e la voglia
di rischiare di deludere qualcuno che si aspettava qualcosa da
lui. E il caso aveva giocato in suo favore. Basta con le recite,
basta con i rapporti in cui bisogna calibrare la voglia o la necessità
di dominare ed essere dominati, basta con le sovrastrutture, basta
con le donne che ti dipingono diverso da quello che sei solo per
proiettare in te qualcosa che loro stanno cercando e non saprebbero
dove trovare. Basta adeguarsi, basta voler adeguare anche la donna
del momento all'illusione di ideale cercato. Perché anche
lui, e lo sapeva bene, cadeva in questo meccanismo. Ed era proprio
così che pensava di innamorarsi, che creava nella sua testa
delle passioni inesistenti. Proiettava un ideale su una donna
e, per quanto tutto gli dicesse che quella non ci si accostava
neanche un po', lui si impuntava a voler vedere la realtà
solo coi suoi occhi ottenebrati. Basta con tutto questo. Bruno
voleva solo semplicità e complicità. Essere come
si è, accettarsi e scoprirsi giorno dopo giorno. Piacersi
o non piacersi, amarsi o non amarsi, desiderarsi o non desiderarsi,
aspettarsi o non aspettarsi, pensarsi o non pensarsi... Lasciare
che i dubbi siano la costante di un rapporto, a totale discapito
delle false certezze. Ecco perché istintivamente Bruno
aveva pensato quella mattina che avrebbe trascorso un periodo
da solo; adesso lo sapeva anche coscientemente il perché.
Doveva imparare ad accettarsi e a conoscersi bene. Poi avrebbe
potuto imparare ad accettare una compagna accanto a sé.
Quanto tempo ci avrebbe messo? Scansò il pensiero come
qualcosa di fastidioso e si rialzò, ormai asciutto.
Raccolse i vestiti,
si rivestì e gli venne voglia di una passeggiata. In realtà
aveva voglia di mirtilli e aghi di pino sotto ai piedi. Lasciò
la moto lì e cominciò a camminare senza meta. Quante
erano state le donne davvero importanti nella sua vita? Basta,
non voleva più pensare a ciò che era stato. Così
si sforzò di cancellare quella domanda dalla sua mente,
si avvicinò a un rovo pieno di more e sentì rinascere
il bambino che era in lui. Ne prese una grossa e matura e la assaporò,
così fece con un'altra, facile preda che gli era caduta
proprio sotto gli occhi, e ancora con un'altra. Poi aguzzò
la vista e si impegnò a cercarne di altre. Non voleva accontentarsi
di mangiare le prime che gli capitavano, voleva trovare quelle
belle grosse e mature. E il tempo impiegato nella ricerca non
gli sembrò sprecato, ma capace di concedergli il gusto
di assaporare l'ultima mora fino in fondo, fino a sentirne scivolare
via le ultime stille di fragranza vellutata dal palato. "Ecco
- pensò - per sentire fino in fondo il sapore di qualcosa
e assimilarlo bisogna dargli il tempo di lasciare impressione
di sé". Non sentì più il bisogno di
mangiare altre more, chiuse gli occhi perché l'ultima lasciasse
profondo il ricordo di quel gusto. Masticò lentamente,
deglutì e si inebriò per quell'esperienza.
Riprese a camminare,
mani in tasca e sguardo libero, con la curiosità di ripercorrere
posti che aveva quasi dimenticato e che, pur essendo rimasti uguali,
erano profondamene diversi. "Diverso è ciò
che si guarda in modo diverso, non ciò che è cambiato",
gli suggerì il suo pensiero. E certo quel giorno il suo
sguardo era ben mutato, anche solo rispetto al giorno precedente.
Scricchiolii di rami secchi e foglie, rumori di sottobosco e nemmeno
una figura umana nei dintorni. Stava proprio passando un bel compleanno.
Solo per un attimo lo attraversò l'idea che era stato fin
troppo pieno di incontri, casuali certo, ma ebbe l'impressione
che non sarebbe finita lì. Ma lui non avrebbe fatto proprio
nulla per provocarne degli altri.
Fu attratto da una
piccola radura dalla quale gli sembrava si potesse osservare una
cascata che terminava nel ruscello, e facendo attenzione al terreno
scosceso e sdrucciolevole ci arrivò. In effetti la vista
da lì era molto suggestiva. Affiorava attraverso gli alberi,
quasi senza essere annunciata, questa cascata fragrante, e ne
si poteva seguire il declivio finché non andava ad adagiarsi,
adagiarsi non rovesciarsi, nel letto del ruscello. Quella dolcezza
quasi lo costrinse a sedersi per qualche minuto. L'erba era umida,
mista a muschio e a qualche fungo appena affacciatosi alla luce.
Si riposò dai suoi pensieri e lasciò che scivolassero
via come l'acqua della cascata. Stavolta l'incubo non lo assalì,
forse era bastata quella bambina a scacciarlo per sempre, o forse
la gioia di non dover recitare mai più. Quando sentì
il desiderio di alzarsi e riprendere il cammino fu perché
un profondo respiro lo aveva ricaricato e soddisfatto.
Appoggiò
tutto il peso su una mano per tirarsi su e il suo sguardo incrociò
qualcosa che in quell'ambiente suonava estraneo. Ai piedi di un
albero c'era un profilattico, che era inequivocabilmente stato
testimone e protagonista di un amplesso. Istintivamente, a Bruno
venne da storcere la bocca. Non per disgusto, ma perché
quell'immagine aveva rovinato qualcosa nella poesia del luogo.
Cercò di rimuovere quell'immagine andando via rapidamente,
ma d'istinto l'ultima cosa che guardò prima di proseguire
fu proprio il profilattico.
Si inerpicò
lungo un sentiero capace di farlo ansimare. Ma non c'era forse
poesia anche in un amplesso rubato ai margini di un ruscello,
nel bel mezzo di un bosco? Certamente sì, ma ciò
che Bruno non poteva cancellare era ciò che restava di
quell'amplesso: lattice e sperma. Si chiedeva se fosse stato un
atto d'amore o una scopata, e se per entrambi fosse stata la stessa
cosa. Erano venuti lì proprio con l'intenzione di farlo
o era capitato? Cioè, lui era venuto lì con l'intenzione
di possederla e per questo aveva con sé il profilattico,
o no? e lei? lei sapeva che sarebbe successo anche prima di arrivare
fin lì? Lattice e sperma, qualunque fosse stata la motivazione
che ce li aveva spinti. Lattice e sperma. Quante volte aveva corteggiato
una donna, quante volte si era convinto di essere innamorato,
quante volte aveva cercato di convincere anche lei, quante volte
si era finto tenero amante o Don Giovanni... e quante volte solo
per culminare nell'ultimo atto della recita lasciando a sipario
chiuso null'altro che lattice e sperma? E allora perché
questo disgusto quasi puritano? Forse solo ieri ne avrebbe riso.
Forse solo ieri ne sarebbe stato eccitato e si sarebbe dato da
fare per trovare una nuova donna di cui innamorarsi e da portare
in un bosco. Forse ieri, ma oggi perché questo disgusto?
"L'amore non è lattice e sperma, ecco perché",
pensò con forza. E continuò a inerpicarsi con più
energia, quasi rabbia. Cercava di imporsi questa convinzione,
arrabbiandosi con se stesso e con la sua coscienza che lo invitava
a riflettere. Stava confondendo ciò che è l'amore
con ciò che rimane dell'amore, era su questo che doveva
interrogarsi. Lo sapeva, e per questo si innervosiva. Spezzò
un ramo con un colpo secco, violento, con la scusa di farsi un
bastone. In realtà quel gesto gli servì per scaricarsi.
Lattice e sperma. Quella salita sembrava non finire mai, e gli
facevano pure male i piedi, e aveva sete, e stava sudando, e mannaggia
alle sigarette che gli toglievano il fiato... Lattice e sperma.
Un sasso si staccò da una parete, cadendo poco distante
da Bruno. "Vaffanculo - pensò - io torno indietro".
Appuntellò il bastone in terra, si fermò per qualche
istante, alzò lo sguardo verso l'alto, come a vedere quanta
strada avesse ancora davanti a sé, tirò un sospiro
e continuò a salire. Lattice e sperma. "Ma che ne
posso sapere io... che ne posso sapere se nella mia vita di merda
ho solo finto per compiacermi, se non ho mai amato che me stesso.
Che ne posso sapere... Io che rifletto sull'amore... che cosa
patetica e comica. Lattice e sperma... E allora? Vabbé,
fosse pure che ciò che rimane è lattice e sperma...
oppure solo sperma perso tra sospiri e lenzuola accartocciate...
Il problema è ciò che precede il lattice e lo sperma,
quello è il problema". Bruno parlava tra sé
e il fiatone aumentava, ma questo parlare tra sé lo calmava.
Sentì una breve fitta al fianco. Si rizzò di colpo,
sudò freddo ma poi passò. Finalmente il sentiero
si apriva in una radura. Era lì che Bruno voleva arrivare,
e ci arrivò giusto in tempo per vedere quello che non ricordava
più.
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