Bruno sedette sulla riva del ruscello. Voleva chiedersi perché
quell'illusione era crollata così in fretta, di botto.
Cosa doveva succedere? Doveva forse innamorarsi per davvero, finalmente?
E come lo avrebbe capito visto che se l'era sempre raccontata,
visto che non aveva altro metro di valutazione che la sua stessa
illusione? Si lasciò trascinare per un po' dal rumore dell'acqua
e dallo stormire delle foglie. I grilli lontani e qualche scoiattolo
facevano da contrappunto. Quella voce da soprano gli ottundeva
ancora la mente, come se avesse lasciato un'impronta indelebile.
Si sdraiò sull'erba e cominciò a guardare attraverso
le foglie verso il valzer di ombre che il sole disegnava tra gli
alberi e nel sottobosco. Smise di pensare, almeno così
credette, e fu assalito dal torpore, come di sonno. Vi si abbandonò,
ma quel torpore maligno non era di sonno.
Come lame di luce
si infilzarono nella sua mente immagini di donne, volti, corpi,
a volte anche anime gli sembrò. E non poteva scacciarle.
Lame che facevano a pezzi quello scudo di finte emozioni che gli
era cresciuto attorno all'anima. L'ultima lama fu quella che lo
squartò, quella che gli insinuò l'immagine di una
ragazza... non ne ricordava il nome, sebbene si sforzasse e chiedesse
a se stesso pietà e un po' di tempo per rifletterci, una
ragazza le cui lacrime si trasformavano in ghiaccio scivolandole
sul seno e sul ventre, una ragazza che, senza rancore, gli diceva
che se lui non l'avesse lasciata forse quel bambino l'avrebbe
tenuto, forse... La sua remissività era angosciante. Schiacciata
in quell'angolo male illuminato, con la voce sottile e quasi pigolante
che accompagnava come un carillon il suo dondolarsi psicotico.
Bruno non ricordava che una cosa del genere fosse mai successa,
e forse davvero non era mai successa. Ma l'immagine si ribellò
e la ragazza si fece ghiaccio e pietra e ogni lacrima la squartava
un po' di più, sciogliendola in rivoli di sangue. Sentì
come una stilettata di ghiaccio sulla fronte, come una sottile
stilettata che lo avrebbe ucciso e si svegliò. Una bambina
piangeva accanto a lui e le sue lacrime erano cadute sulla sua
fronte, gelide solo perché quell'incubo lo aveva fatto
sudare.
«Svegliati
signore, ti prego...», ripeteva la bambina. Bruno subì
la scossa del ritorno alla realtà e si aggrappò
a lei con forza, intimorendola.
«Che c'è?»
riuscì solamente a dire con una voce ancora impastata di
incubo. «Che c'è?», ripeté deglutendo
a fatica e allentando la presa dal braccio della bambina.
Lei tacque per un
po', aspettò che l'ansimare di Bruno si placasse, quasi
a volersi rassicurare sullo stato mentale di quell'uomo. Poi capì
che doveva aver fatto brutti sogni, allora si asciugò le
lacrime e parlò. «Il mio cagnolino è su quell'albero,
ed è piccolo, non sa più scendere. Ho paura che
cada nel ruscello. E se cade nel ruscello affoga»
Bruno la guardò
da sotto in su, tramutò la stretta in una carezza e la
smorfia di dolore in un sorriso. Le disse che ci avrebbe pensato
lui, di stare tranquilla, e le fu grato per averlo svegliato.
Non aveva mai pensato a un figlio, l'idea stessa era lontana da
lui. Per questo si stupì dell'emozione che aveva provato
uscendo dall'incubo, un'emozione durata un attimo e nascosta a
se stesso, l'impressione che a svegliarlo fosse stata sua figlia.
La prese per mano
e si fece accompagnare all'albero. Era proprio a strapiombo sul
ruscello e il povero cagnolino era lì bloccato dal terrore
e guaiva. Bruno rassicurò la bambina e iniziò ad
arrampicarsi. Non lo faceva da chissà più quanti
anni, e non era affatto sicuro di riuscire ad arrivare tutto intero
fin dove il cane era bloccato. Ma non poteva deludere quella bambina.
Non riusciva a capire perché, ma sapeva di non poterla
deludere. Appoggiò il primo piede sulla corteccia e con
uno scatto di reni appoggiò anche il secondo e si aggrappò
al primo ramo. L'esserci arrivato lo fece sentire più sicuro,
così passò al secondo ramo quasi senza pensarci.
Il cane sembrava tranquillizzato dalla presenza di Bruno sull'albero,
e la bambina stava a naso in su quasi trattenendo il respiro.
Le nodosità del legno cominciavano a fargli male, e anche
le schegge di corteccia che sentiva a fior di pelle. Cambiò
ancora ramo: prima un piede, poi aggrapparsi con una mano al ramo
superiore... Uno scricchiolìo e la bambina urlò.
Bruno sentì un brivido freddo, quasi non si fosse accorto
di qualcosa di inevitabile che stava accadendo. Invece era stato
un urlo di paura per il cane, che si era mosso e sembrava stesse
per cadere in acqua. Bruno rifiatò e proseguì con
la scioltezza di chi ha appena evitato un pericolo. Mancavano
un paio di rami per poter raggiungere il cucciolo, e lui salì
sul primo come entrasse a casa sua. Questa volta lo scricchiolìo
fu sordo e Bruno sentì la terra mancargli sotto. Il cane
guaì, consapevole forse della sua responsabilità.
Bruno rimase appeso a un ramo per fortuna robusto, ma non era
certo di avere la forza per tirarsi su. Ciondolava e si sentiva
davvero un idiota. Incrociò lo sguardo della bambina e
questo gli diede forza. Sentiva di doverle dimostrare che aveva
riposto la sua fiducia nella persona giusta. Forse da ciò
che lui avrebbe fatto in quel momento sarebbe dipesa l'opinione
che quella bambina, crescendo, avrebbe avuto degli uomini. Certo,
perché tutto si riduce poi a dover dimostrare qualcosa,
recitare un ruolo è solo dimostrare di poter essere altro
da ciò che si è, di poter essere esattamente ciò
che l'altra persona desidera, di avere capacità di autocritica
e voglia di cambiare. Per poi stancarsi, tornare a piacersi così
come si è sempre stati e odiare la persona per la quale
si era recitato. "Sono le aspettative che distruggono i rapporti",
pensò Bruno poco prima di fare uno sforzo supplementare
per tirarsi su. Voleva dimostrare qualcosa a quella bambina? Se
si fosse lasciato cadere in acqua forse l'avrebbe salvata da future
illusioni... o magari sarebbe stato un buono stimolo per farla
diventare lesbica. Provò a tirarsi su, ma capì che
non ce l'avrebbe mai fatta. Sì, l'avrebbe delusa. Non voleva
dimostrare più nulla a nessuno. Si lasciò cadere
in acqua e, mentre scivolava giù ad occhi chiusi per godere
di quella decisione, pensò da quanto tempo avrebbe potuto
farlo, quanto tempo aveva sprecato. Pensò anche alla bambina
e alle sue illusioni bruciate. Quando riemerse si accorse che
lo scossone dato al ramo aveva fatto sì che anche il cucciolo
cadesse, e se lo trovò tra le braccia. La bambina, che
era quasi svenuta dall'emozione, si rianimò di botto e
cominciò a piangere di gioia. Bruno si sentiva proprio
un imbecille: tutti gli sforzi fatti per dimostrare qualcosa,
per interpretare bene il ruolo richiesto, aveva deciso di vanificarli.
E proprio smettendo di recitare, essendo finalmente preda delle
sue debolezze, aveva salvato quel cagnolino e dato fiducia a quella
bambina.
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