La malga gli si aprì davanti, tranquilla, pacifica, rassicurante.
Spense la moto sotto gli occhi di un vecchio contadino, nel quale
non faticò a riconoscere lo stesso che anni prima vi abitava
con la moglie. Lo salutò con apertura e cordialità,
così come si fa con la gente di montagna per familiarizzare
e rendersi subito parte del tutto in cui si è. Il contadino
rispose al saluto con un sorriso: chissà se si ricordava
di quel ragazzo che Bruno era stato, chissà se si ricordava
di quel giorno in cui lui, senza pelle, era venuto lì con
Sandra a prendere un po' di provviste. Non poteva riconoscerlo.
Erano passati troppi anni e troppi falsi amori che avevano cancellato
le tracce di sincerità e di eterea illusione amorosa dal
suo viso. Non lo avrebbe mai riconosciuto, così Bruno evitò
di ingolfarsi in quei patetici "si ricorda... quindici anni
fa...", e cercò solo di essere se stesso, come lo
sarebbe stato quel giorno e come avrebbe voluto esserlo da lì
in avanti.
Insieme alla moglie
del contadino, dall'uscio della malga arrivò una voce da
soprano, ancora un po' acerba ma molto promettente, che spiazzò
Bruno. La moglie del contadino lo invitò a entrare, e fu
subito cordiale, non come spesso accade con quei contadini che
ti fanno capire che gli stai solo dando fastidio, quindi compra
la roba che ti serve e togliti dai coglioni. No, lei fu molto
cortese. La voce da soprano giungeva limpida da una stanza interna,
e alla moglie del contadino ci volle poco a capire che Bruno,
venuto certo per formaggio, pane nero e Strudel di mele, in quel
momento fosse solo proteso verso quella voce.
«Le piace
come canta la bambina? Sembra un usignolo, vero?» disse
la vecchia contadina un po' orgogliosa e un po' rassegnata a non
poter mai capire quanto sua nipote fosse brava. Bruno assentì,
e bastò un suo passo in direzione di quella voce a far
sì che la vecchia contadina gli facesse cenno di seguirla.
Lo condusse attraverso
le povere ma dignitose stanze della malga, fino a un salone che,
messo lì in quella casa di contadini tra le montagne, sembrava
irreale. Era praticamente una sala prove con tanto di mezza coda
e un arredamento che a Bruno ricordò l'ascetismo e la freddezza
Zen e al tempo stesso una qualche installazione di Brian Eno.
Lì, al centro del salone, si ergeva come una statua di
sale quella creatura appena sbocciata dal fiore della fanciullezza,
non più che quindicenne e già così distante,
così altera. Sembrava che fosse il tramite per qualcosa
che veniva da lontano e che solo attraverso lei potesse irradiarsi.
La contadina chiuse la porta, lasciando Bruno in quell'angolo
remoto del salone ad osservare sua nipote. Era solo con quella
visione lunare. Solo gli spasimi e le onde che la attraversavano
per fuoriuscire sotto forma di canto lasciavano intuire la presenza
della vita in lei, per il resto si sarebbe detta un fantasma.
Non si accorse della presenza di Bruno se non quando terminò
l'esecuzione di un complesso brano di Xenakis.
Bruno si aspettava
che uscita dalla trance si rianimasse, diventasse reale, di carne
e sangue. La sua reazione a quella presenza estranea fu solo l'inarcarsi
di un sopracciglio e una leggera torsione del collo. Poi girò
la pagina dello spartito e passò a Bartók.
Rimase ad ascoltarla
a lungo, forse sperando che prima o poi ridiventasse umana, e
in quest'attesa Bruno capitolò al suo pensiero: un 'tipo'
simile non lo aveva mai incontrato. Non riusciva a vederla né
con tenerezza, in quanto poco più che bambina, né
con desiderio, in quanto quasi donna, né con ammirazione,
in quanto vicina alla perfezione. Era una specie di dea, troppo
innamorata di se stessa per confondersi con quanto di terreno
accadeva intorno a lei. Aveva mai provato emozioni? Ne avrebbe
mai provate in tempo per viverle? Era già passata a Cage
quando la vecchia contadina aprì con discrezione la porta
e gli fece segno di seguirla.
«Mi scusi,
sa, ma mia nipote va avanti così fino a sera. Non vorrà
rimanere lì a guardarla per tutto il pomeriggio...»
«Oh, no -
disse Bruno mentendo - anzi mi scusi lei e le dica di perdonarmi
se l'ho disturbata»
«Disturbata?
No, lei non ci fa caso. È così presa dal canto che
non si accorge nemmeno del tempo che passa. Allora, che le do
di buono da portare via? O vuole mangiare qualcosa qui... C'è
una bella veranda di là, e si sente pure la voce di mia
nipote...»
«Mangerò
qualcosa in veranda»
«Formaggio,
pane nero e Strudel?»
«Sì,
ma come fa a saperlo?», si stupì Bruno.
«Beh, chiedono
tutti quello, allora...»
«Ha ragione...»
ammise Bruno pensando che non era molto diverso dagli altri, anche
se immaginarlo gli aveva sempre fatto piacere. Poi chiese anche
un bicchiere di vino rosso e andò a sedersi in veranda.
Il vecchio contadino
era affaccendato nella stalla, e Bruno notò che un pastore
maremmano, accucciato a pochi passi dalla porta, ne osservava
paziente tutti i gesti, anche se doveva averli visti all'infinito.
Stava lì quasi a controllarne l'immutabilità, quasi
a gioire di quell'immutabilità. La vecchia portò
a Bruno da mangiare, e lui assaporò la semplicità
di quei cibi spaziando con lo sguardo lungo la valle, prigioniero
però di quella voce da soprano che era tanto calda e vibrante
quanto glaciale gli era sembrata la ragazza che, come un medium,
le permetteva di espandersi. Una cosa cui non aveva mai fatto
caso, ma che solo adesso riusciva a comprendere, era che nelle
donne la voce per lui aveva sempre avuto una certa importanza.
Gli piacevano le voci calde, sensuali, pacate, avvolgenti, profonde.
Non era mai riuscito a innamorarsi di una donna che avesse una
voce squillante o troppo nasale o cantilenante. Osservò
ancora il cane, che abbaiò appena solo perché una
mucca aveva fatto un passo di troppo verso il vecchio contadino
curvo che le dava le spalle. Il vecchio lo zittì, ringraziandolo.
Bruno non era mai
stato innamorato di se stesso, no, ma forse non era mai stato innamorato
in assoluto. Come una sferzata gli giunse un'aria della Norma. Come
poteva riuscire quella statua di sale a trasmettere un'emozione
così forte senza provarla? Fingeva? Era solo tecnica? "In
fondo anche gli attori fanno lo stesso: fingono, ma lo spettatore
non deve mai sapere fino a che punto. E così i cantanti,
che modulano la voce toccando nell'ascoltatore corde insondabili
pur rimanendo del tutto coscienti dell'aspetto tecnico della loro
esecuzione". Bruno assaporò lo Strudel speziato di cannella
ma non diede peso al sapore. L'aria della Norma gli metteva i brividi,
e faceva nascere in lui come una disvelazione la chiarezza sul crollo
di quell'illusione che proprio quella mattina lo aveva svegliato.
Non era mai stato davvero innamorato, se non dell'idea stessa di
essere innamorato. Tutte quelle donne... erano servite a fargli
vivere la gioia dell'innamoramento, erano state anche loro dei tramite.
Forse anche Sandra, forse anche quella volta in cui incise i loro
nomi sull'albero si era innamorato dell'essere scoperto, senza protezioni,
senza ruoli da indossare. O forse no. Forse quella volta no. Dalla
prima storia adolescenziale non era mai stato da solo per più
di quindici giorni, venti una volta, sì venti... ma non di
più. Ecco perché queste cose non le aveva mai capite.
Quella sensazione piacevole che gli dava il volersi innamorare lo
aveva ingabbiato e costretto, come una droga, a non farne mai a
meno. Solo. Doveva stare un po' da solo. Capire meglio se stesso,
cambiare alcune cose nella sua vita, compresi gli arredamenti di
casa e parte del suo guardaroba, riuscire ad essere in perfetto
equilibrio pur stando completamente da solo. Ascoltò il termine
di un'aria dalla Traviata, tracannò l'ultimo sorso di vino,
pagò e si allontanò lungo il sentiero. Un ultimo acuto
esplose oltre le pareti della malga, e Bruno se lo sentì
rotolare contro, come lo spostamento d'aria di un'esplosione che
monta in un attimo e poi ti sospinge lontano. E montava quell'onda
di vibrazioni sonore, montava, correva, e lui corse più forte
e più forte. Ma l'onda lo sorprese quando ormai pensava di
essere al sicuro al limitare del bosco, poco distante dal ruscello.
Lo raggiunse investendolo e scrollando la sua consapevolezza sopita,
spingendola molto oltre le sue stesse decisioni. Non aveva mai amato
davvero. Inquietante pensiero, ma durissima verità.
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