Inediti - I vostri testi
In questa pagina potrete leggere i migliori lavori pervenuti al nostro sito. Stazioneranno per una o più settimane, poi cederanno il posto ad altri scritti meritevoli.
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La malga gli si aprì davanti, tranquilla, pacifica, rassicurante. Spense la moto sotto gli occhi di un vecchio contadino, nel quale non faticò a riconoscere lo stesso che anni prima vi abitava con la moglie. Lo salutò con apertura e cordialità, così come si fa con la gente di montagna per familiarizzare e rendersi subito parte del tutto in cui si è. Il contadino rispose al saluto con un sorriso: chissà se si ricordava di quel ragazzo che Bruno era stato, chissà se si ricordava di quel giorno in cui lui, senza pelle, era venuto lì con Sandra a prendere un po' di provviste. Non poteva riconoscerlo. Erano passati troppi anni e troppi falsi amori che avevano cancellato le tracce di sincerità e di eterea illusione amorosa dal suo viso. Non lo avrebbe mai riconosciuto, così Bruno evitò di ingolfarsi in quei patetici "si ricorda... quindici anni fa...", e cercò solo di essere se stesso, come lo sarebbe stato quel giorno e come avrebbe voluto esserlo da lì in avanti.

Insieme alla moglie del contadino, dall'uscio della malga arrivò una voce da soprano, ancora un po' acerba ma molto promettente, che spiazzò Bruno. La moglie del contadino lo invitò a entrare, e fu subito cordiale, non come spesso accade con quei contadini che ti fanno capire che gli stai solo dando fastidio, quindi compra la roba che ti serve e togliti dai coglioni. No, lei fu molto cortese. La voce da soprano giungeva limpida da una stanza interna, e alla moglie del contadino ci volle poco a capire che Bruno, venuto certo per formaggio, pane nero e Strudel di mele, in quel momento fosse solo proteso verso quella voce.

«Le piace come canta la bambina? Sembra un usignolo, vero?» disse la vecchia contadina un po' orgogliosa e un po' rassegnata a non poter mai capire quanto sua nipote fosse brava. Bruno assentì, e bastò un suo passo in direzione di quella voce a far sì che la vecchia contadina gli facesse cenno di seguirla.

Lo condusse attraverso le povere ma dignitose stanze della malga, fino a un salone che, messo lì in quella casa di contadini tra le montagne, sembrava irreale. Era praticamente una sala prove con tanto di mezza coda e un arredamento che a Bruno ricordò l'ascetismo e la freddezza Zen e al tempo stesso una qualche installazione di Brian Eno. Lì, al centro del salone, si ergeva come una statua di sale quella creatura appena sbocciata dal fiore della fanciullezza, non più che quindicenne e già così distante, così altera. Sembrava che fosse il tramite per qualcosa che veniva da lontano e che solo attraverso lei potesse irradiarsi. La contadina chiuse la porta, lasciando Bruno in quell'angolo remoto del salone ad osservare sua nipote. Era solo con quella visione lunare. Solo gli spasimi e le onde che la attraversavano per fuoriuscire sotto forma di canto lasciavano intuire la presenza della vita in lei, per il resto si sarebbe detta un fantasma. Non si accorse della presenza di Bruno se non quando terminò l'esecuzione di un complesso brano di Xenakis.

Bruno si aspettava che uscita dalla trance si rianimasse, diventasse reale, di carne e sangue. La sua reazione a quella presenza estranea fu solo l'inarcarsi di un sopracciglio e una leggera torsione del collo. Poi girò la pagina dello spartito e passò a Bartók.

Rimase ad ascoltarla a lungo, forse sperando che prima o poi ridiventasse umana, e in quest'attesa Bruno capitolò al suo pensiero: un 'tipo' simile non lo aveva mai incontrato. Non riusciva a vederla né con tenerezza, in quanto poco più che bambina, né con desiderio, in quanto quasi donna, né con ammirazione, in quanto vicina alla perfezione. Era una specie di dea, troppo innamorata di se stessa per confondersi con quanto di terreno accadeva intorno a lei. Aveva mai provato emozioni? Ne avrebbe mai provate in tempo per viverle? Era già passata a Cage quando la vecchia contadina aprì con discrezione la porta e gli fece segno di seguirla.

«Mi scusi, sa, ma mia nipote va avanti così fino a sera. Non vorrà rimanere lì a guardarla per tutto il pomeriggio...»

«Oh, no - disse Bruno mentendo - anzi mi scusi lei e le dica di perdonarmi se l'ho disturbata»

«Disturbata? No, lei non ci fa caso. È così presa dal canto che non si accorge nemmeno del tempo che passa. Allora, che le do di buono da portare via? O vuole mangiare qualcosa qui... C'è una bella veranda di là, e si sente pure la voce di mia nipote...»

«Mangerò qualcosa in veranda»

«Formaggio, pane nero e Strudel?»

«Sì, ma come fa a saperlo?», si stupì Bruno.

«Beh, chiedono tutti quello, allora...»

«Ha ragione...» ammise Bruno pensando che non era molto diverso dagli altri, anche se immaginarlo gli aveva sempre fatto piacere. Poi chiese anche un bicchiere di vino rosso e andò a sedersi in veranda.

Il vecchio contadino era affaccendato nella stalla, e Bruno notò che un pastore maremmano, accucciato a pochi passi dalla porta, ne osservava paziente tutti i gesti, anche se doveva averli visti all'infinito. Stava lì quasi a controllarne l'immutabilità, quasi a gioire di quell'immutabilità. La vecchia portò a Bruno da mangiare, e lui assaporò la semplicità di quei cibi spaziando con lo sguardo lungo la valle, prigioniero però di quella voce da soprano che era tanto calda e vibrante quanto glaciale gli era sembrata la ragazza che, come un medium, le permetteva di espandersi. Una cosa cui non aveva mai fatto caso, ma che solo adesso riusciva a comprendere, era che nelle donne la voce per lui aveva sempre avuto una certa importanza. Gli piacevano le voci calde, sensuali, pacate, avvolgenti, profonde. Non era mai riuscito a innamorarsi di una donna che avesse una voce squillante o troppo nasale o cantilenante. Osservò ancora il cane, che abbaiò appena solo perché una mucca aveva fatto un passo di troppo verso il vecchio contadino curvo che le dava le spalle. Il vecchio lo zittì, ringraziandolo.

Bruno non era mai stato innamorato di se stesso, no, ma forse non era mai stato innamorato in assoluto. Come una sferzata gli giunse un'aria della Norma. Come poteva riuscire quella statua di sale a trasmettere un'emozione così forte senza provarla? Fingeva? Era solo tecnica? "In fondo anche gli attori fanno lo stesso: fingono, ma lo spettatore non deve mai sapere fino a che punto. E così i cantanti, che modulano la voce toccando nell'ascoltatore corde insondabili pur rimanendo del tutto coscienti dell'aspetto tecnico della loro esecuzione". Bruno assaporò lo Strudel speziato di cannella ma non diede peso al sapore. L'aria della Norma gli metteva i brividi, e faceva nascere in lui come una disvelazione la chiarezza sul crollo di quell'illusione che proprio quella mattina lo aveva svegliato. Non era mai stato davvero innamorato, se non dell'idea stessa di essere innamorato. Tutte quelle donne... erano servite a fargli vivere la gioia dell'innamoramento, erano state anche loro dei tramite. Forse anche Sandra, forse anche quella volta in cui incise i loro nomi sull'albero si era innamorato dell'essere scoperto, senza protezioni, senza ruoli da indossare. O forse no. Forse quella volta no. Dalla prima storia adolescenziale non era mai stato da solo per più di quindici giorni, venti una volta, sì venti... ma non di più. Ecco perché queste cose non le aveva mai capite. Quella sensazione piacevole che gli dava il volersi innamorare lo aveva ingabbiato e costretto, come una droga, a non farne mai a meno. Solo. Doveva stare un po' da solo. Capire meglio se stesso, cambiare alcune cose nella sua vita, compresi gli arredamenti di casa e parte del suo guardaroba, riuscire ad essere in perfetto equilibrio pur stando completamente da solo. Ascoltò il termine di un'aria dalla Traviata, tracannò l'ultimo sorso di vino, pagò e si allontanò lungo il sentiero. Un ultimo acuto esplose oltre le pareti della malga, e Bruno se lo sentì rotolare contro, come lo spostamento d'aria di un'esplosione che monta in un attimo e poi ti sospinge lontano. E montava quell'onda di vibrazioni sonore, montava, correva, e lui corse più forte e più forte. Ma l'onda lo sorprese quando ormai pensava di essere al sicuro al limitare del bosco, poco distante dal ruscello. Lo raggiunse investendolo e scrollando la sua consapevolezza sopita, spingendola molto oltre le sue stesse decisioni. Non aveva mai amato davvero. Inquietante pensiero, ma durissima verità.