Spalancò la porta e si accorse subito che qualcun altro
amava quella baita solitaria, e l'aveva trasformata in un piacevole
rifugio d'amore. Non c'era niente di più di quello che
deve esserci in una baita incustodita e aperta a tutti, però
l'aria che si respirava era inequivocabile. E Bruno ne rimase
inebriato. Quelle tendine che ricordava sporche di polvere e muffa
erano candide e raccolte a grappolo, come se dietro di loro una
figura femminile fosse in costante attesa del suo uomo, fuori
a cacciare la selvaggina per la cena. Il camino era pronto per
l'uso: tra la legna c'era dell'incenso, e proprio davanti a dove
sarebbe brillato il fuoco una stuoia su cui stare accoccolati
in due a raccontarsi favole e sogni. Chiunque l'avesse preparato
a quel modo aveva un unico buon motivo per farlo: stare bene con
la persona che amava. Il legno dei mobili era tornato lucido e
vivo. Le candele, nei candelabri di legno scolpiti a forma di
gnomi da fiaba come solo un innamorato può fare, erano
disposte in un modo tale da non poter pensare che fossero lì
solo per illuminare l'ambiente. E una chitarra consumata, adagiata
sul dondolo, lasciava immaginare dolci note sussurrate in accordo
col crepitìo del fuoco e con lo stupore degli occhi di
lei. Sul letto non c'erano sacchi a pelo, ma un morbido materasso
di paglia che fece sorridere Bruno. E soprattutto non c'erano
orologi. Chiunque si amasse così tanto non andava disturbato,
tanto meno da uno a caccia di verità su illusioni svanite.
Bruno riaccostò la porta con dolcezza, con rispetto, diede
un ultimo sguardo come di malinconia per qualcosa che aveva appena
scoperto e che già sentiva di desiderare. Sospirò,
montò in sella e ripartì.
In fin dei conti
voleva trascorrere una giornata tra i boschi, perché stare
alla baita? Però... gli venne in mente quella malga tanto
ospitale a pochi chilometri da lì. Abbastanza isolata,
vicina a un ruscello e a un bosco di conifere. E, se ben ricordava,
i contadini che ci abitavano producevano un'ottima grappa e dello
strepitoso Strudel di mele. Avrebbe pranzato lì: formaggio
fresco, pane nero e Strudel. Poi sarebbe andato a riposare e riflettere
nel bosco, accanto al ruscello. Ma aveva ancora voglia di riflettere?
Quella mattinata gli aveva già fatto capire e mettere in
discussione molte cose. Forse aveva solo voglia di rilassarsi
e stare un po' da solo. Sì, finalmente un compleanno senza
doveri.
Procedendo senza
correre, rappacificato coi suoi pensieri dall'incontro con l'armonia
di quella baita, si stava avviando tranquillo verso la malga,
assaporando il sottobosco e chiedendosi se gli invisibili innamorati
della baita fossero molto giovani, da quanto fossero innamorati
e per quanto lo sarebbero stati. Per lui l'innamoramento verso
una persona era qualcosa con un inevitabile termine, con una sua
finitezza fatta di rituali e cerimoniali precisi. Un po' come
un'opera in tre atti. Il suo sguardo, pilotato da chissà
quale beffarda casualità, si posò su un albero,
un albero che gli fu subito familiare. E sentì il bisogno
di accostarsi. Non spense la moto, non voleva fermarsi a lungo,
anche perché aveva fame. Voleva solo capire che cosa gli
ricordasse quell'albero. Si avvicinò e notò un'incisione
sul tronco, un po' sbiadita ma ancora ben leggibile. Adesso ricordava
con chiarezza. Il suo nome era inciso accanto a quello di Sandra.
Aveva ventisei anni, lei pochi di meno, e non si era chiesto perché
si potesse innamorare di lei quando l'aveva incontrata. Non si
era chiesto chi fosse, per quale stramba coincidenza fosse lì;
non si era chiesto che 'tipo' fosse, né che ruolo stesse
cercando di recitare; non si era chiesto se gli piacesse, né
se la desiderasse e perché. Non si era chiesto niente,
aveva solo rovesciato come un guanto la sua anima per lei, era
rimasto senza pelle e col solo ricordo di una giornata intera
in quel bosco e di un unico lunghissimo bacio. Il giorno dopo
lei partì per New York. Doveva rimanerci un paio di settimane.
Ma quando contava le ore, certo di riabbracciarla, ricevette una
lettera. A New York ci sarebbe rimasta molto di più, avrebbe
fatto lì l'università. Non era riuscita a dirglielo,
e non era neanche riuscita a dirgli che in realtà era partita
solo una settimana dopo il loro incontro, né che aveva
evitato di incontrarlo ancora per paura, panico, desiderio di
fuga davanti all'immagine di un uomo che aveva messo così
allo scoperto i propri sentimenti, senza dare loro la forma di
un discorso compiuto, meditato. Aveva avuto paura dei sentimenti,
della sincerità. Non l'aveva mai più rivista e non
era mai più rimasto senza pelle davanti a una donna, certo
che non lo meritassero o che pure meritandolo non lo capissero.
Ripartì verso la malga e pensò a quanto è
strano l'universo femminile, almeno quello nel quale si era trovato
a gravitare lui. Se ti metti a nudo, se non ti nascondi e sveli
ciò che senti come l'emozione pretende, se usi parole troppo
sincere... queste paiono pesanti da sopportare e false, e le donne
ne hanno paura e scappano. Se invece ti racconti una storia, ti
crei un personaggio, lo adatti a quello che pensi la donna di
turno voglia, se ti comporti da stronzo e le fai sentire la tua
mancanza, se non la chiami e centellini le emozioni, se in pratica
di quella donna non te ne frega niente perché sai tu per
primo che stai recitando... quella non ti si staccherà
più di dosso. Che logica stupida, "proprio del cazzo",
pensò con amarezza Bruno: puoi essere amato solo dalla
donna che non ami. "E poi dicono che l'uomo sia poligamo
e traditore nell'anima... In realtà è solo frustrato,
perché è condannato a cercare la donna che ama ma
praticamente a non dirglielo mai, altrimenti quella vive il sentimento
di lui come debolezza e scappa. Se si potesse davvero rimanere
bambini nell'anima forse molti miei amici non sarebbero divorziati,
molti altri non avrebbero le amanti o le segretarie da scoparsi
perché il loro ruolo lo richiede, e non educherebbero i
figli a far valere la legge del più forte. In amore forse
bisognerebbe essere deboli, e gioire di questa debolezza."
Questo pensò, mentre il volto di Sandra, che cercava di
immaginare un po' invecchiato, scolpito dall'aria newyorchese
e ancora capace di ammaliare, non gli veniva in mente troppo chiaro.
In tutti quegli anni lo aveva dimenticato, e aveva recitato troppo.
Gli sembrava quasi di non sapere più come fosse lui, a
quale personaggio fosse rimasto attaccato. Ma quello che gli piaceva
di più in fondo non aveva avuto il tempo di indossarlo:
era se stesso, quello rimasto senza pelle, che aveva lasciato
un'incisione sul tronco di quell'abete.
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