La piccola vallata circondava un laghetto in cui si specchiava
per intero. Le prime tracce di tramonto striavano il cielo con
tutte le sfumature del rosso fino al viola. Bruno rimase in piedi
a riprendere fiato, poi sedette su un masso in modo da godersi
il panorama. Tolse le scarpe e appoggiò il bastone. "Lattice
e sperma", pensò ancora una volta, ma adesso senza
rancore. Quando aveva deciso di innamorarsi di una donna era sempre
stato il corpo di lei, l'attrazione fisica, la sensualità
a stimolarlo, non altro. Sì, poi ci costruiva attorno tutta
una favola per raccontarsi che si era innamorato di lei, di come
era dentro. Ma quel 'dentro' in realtà non esisteva, ovvero,
era del tutto diverso da quello che lui voleva immaginare. Ecco
perché poi finiva tutto in lattice e sperma. Gli sembrava
di essere finalmente arrivato alla soluzione del problema e benediceva
il crollo di quell'illusione. Adesso avrebbe saputo riconoscere
un'attrazione fisica da una sintonia emotiva, in breve la voglia
di una scopata da un innamoramento. Adesso sì. Per essere
certo di quanto aveva capito avrebbe rinunciato alle scopate pure
e semplici. Il tramonto compiva il suo ciclo davanti ai suoi occhi
e quella quiete gli sembrava il riflesso della quiete interiore
che aveva raggiunto.
Il sole ormai era
nient'altro che le tracce del suo passaggio. Bruno calzò
a fatica le scarpe, riprese il bastone e tornò sui suoi
passi. Aveva poco tempo per raggiungere la moto. Se fosse sceso
il buio, gli sarebbe stato difficile muoversi nel bosco. Così
si affrettò e andò giù senza fermarsi per
nessun motivo. Si sentiva leggero come un pensiero compiuto. Non
esitò mai, sicuro per quei sentieri che, ripercorsi dopo
tanti anni, gli erano tornati alla memoria senza possibilità
d'errore. Ma alla fine della discesa, quando ancora mancava circa
un chilometro alla moto, lo colse il buio. In cielo c'erano ancora
tracce di luce, ma il sottobosco non permetteva loro di filtrare.
Bruno non si fece
prendere dal panico, anzi lo divertì quella situazione
da boy scout. Lui non aveva mai fatto parte dei boy scout, anzi
li aveva sempre trovati patetici e un po' ridicoli. Però
al suo posto si sarebbero mossi senz'altro meglio di lui, doveva
riconoscerlo. I primi metri li percorse con estrema facilità
perché gli alberi stessi tracciavano il sentiero, quindi
gli bastò seguirli, poi il buio si trasformò nella
sua immaginazione in un labirinto uterino. Doveva abbandonarsi
all'istinto, non poteva certo fingere con se stesso, avrebbe rischiato
di perdersi. Cercò di concentrarsi sui propri sensi e sulla
memoria, aiutandosi col bastone. Per la prima volta aveva coscienza
di sé. Questo lo tranquillizzò. In fondo la strada
era tracciata, bisognava soltanto riuscire a seguirla. Sentì
il suo olfatto che gli comandava di andare verso destra, e lo
assecondò. Percorse tutta la strada che l'olfatto gli aveva
aperta e si fermò appoggiandosi a un albero. Poi sentì
nascere uno stimolo tattile. Così procedette a tentoni
per un bel pezzo, riconoscendo le diverse cortecce e il mutare
del bosco che dai pini degradava negli abeti. Lì non si
fermò e fu certo di essere sulla buona strada, perché
alcune ombre disegnate dallo spicchio di luna gli fecero riconoscere
il sentiero. Così si affidò alla sua vista finché
le ombre non cessarono. Ma aveva fatto a tempo a intravedere dei
rovi di more, e ritrovò nella sua memoria il gusto del
mattino. Così avanzò ancora, finché non si
abbandonò al rumore ormai chiaro del ruscello. Non doveva
essere lontano dalla moto, anche se sapeva che ancora c'era un
po' di strada da percorrere. Quando finalmente credeva di essere
a pochi metri dalla piccola radura, si trovò davanti a
un bivio che non ricordava, ma che pure doveva aver superato quando
era arrivato. Incredibilmente fu assalito dal panico, proprio
alla fine fu assalito dal panico. Stava per scegliere a caso la
via da seguire, poi si fermò, pensò che stava commettendo
una leggerezza, che doveva scegliere con calma, perché
la sua scelta sarebbe stata definitiva: ritrovare la moto o vagare
nel bosco per tutta la notte. Cosa voleva veramente? Gli sembrò
una strana domanda, ma era affiorata con naturalezza. Cosa voleva
veramente? Senza la necessità di darsi una risposta compiuta
seguì il suo cuore e si inoltrò per il viottolo
di sinistra. Percorse circa cento metri senza mai dubitare della
sua scelta e si ritrovò nella piccola radura. La moto era
lì.
Sorrise soddisfatto,
diede una pacca sulla sella come si fa coi cavalli, montò
e l'accese. Con la luce del faro non aveva più timore di
perdere la strada, e, pur senza eccessive spericolatezze, ripercorse
in gran parte la stessa strada fatta al mattino. Evitò
solo alcune scorciatoie che pensò potessero essere pericolose,
perché troppo ripide e a strapiombo. Il vento in faccia
e in complesso la giornata che aveva trascorso gli fecero ricordare
che aveva fame. Del resto erano quasi le dieci ormai. Deviò
dalla strada di casa, perché si ricordò di una locanda
molto accogliente a pochi chilometri da dove si trovava. E verso
di quella si diresse, pregustando già la selvaggina e la
familiare cortesia della nonnina che la gestiva insieme al figlio.
Da lontano sentiva
il profumo precedere la vista della locanda di svariati metri.
C'erano solo due macchine parcheggiate lì davanti. Del
resto era un posto che conoscevano in pochi e per di più
era anche tardi. In montagna dopo le dieci di sera molti ristoranti
sono già chiusi... Era sempre uguale a come lo ricordava.
Entrò e si trovò un tavolo che gli permettesse di
guardare fuori, verso la pineta. Gli altri avventori erano due
coppie, sedute a tavoli ben distanti tra loro ma entrambi appartati
e avvolti dalla penombra. Potevano essere coppie sposate, o solo
fidanzati, o magari amanti in fuga per una sera dalle rispettive
routine coniugali. Questa ipotesi soddisfece abbastanza Bruno,
avvalorata com'era dal fatto che entrambe le coppie fossero in
tiro, che parlassero a bassa voce e protendendo la testa verso
l'altro, che si fossero sedute in disparte e in posti da cui si
poteva facilmente controllare l'ingresso ed eventualmente sgattaiolare
in veranda. E poi ci si era trovato chissà più quante
volte in quella stessa situazione, quindi la sapeva riconoscere
facilmente. La cartina di tornasole era però la morbidezza
del gesto del fumare. Sì, quel gesto non poteva mentire.
La vecchina stava
dietro al banco ad asciugare i bicchieri. Evidentemente, ormai
priva di forze, il figlio le aveva trovato un'occupazione che
le permettesse di sentirsi ancora utile ma al tempo stesso di
non dare fastidio qualora il locale fosse stato pieno. Bruno ricordò
nitidamente che dieci anni prima il figlio stava dietro al bancone
a pulire i bicchieri. Adesso aveva perso quasi tutti i capelli
e dimostrava forse vent'anni di più di quanti ne avesse
in realtà. Non si poteva ricordare di lui. Sua moglie cucinava,
lui preparava i piatti freddi e le bevande, oltre che stare alla
cassa. Una ragazza serviva ai tavoli. Aveva circa ventisei, ventisette
anni, e non sembrava affatto una del luogo. Gli portò il
menù, ovvero glielo recitò, visto che in quel posto
il menù non era mai esistito. Bruno ordinò la prima
e l'ultima cosa che lei disse. Quanto c'era in mezzo non lo aveva
neanche sentito, incuriosito com'era da quella misteriosa personalità
che si celava dietro gli occhi di lei. Non provò attrazione
fisica, solo curiosità. Poi lei si diresse veloce verso
la cucina, e il proprietario gli portò il mezzo rosso che
aveva chiesto. Non poteva essere loro figlia, troppo grande. Assaggiò
il vino e seguì con lo sguardo la prima coppia andar via.
Accese una sigaretta e si accorse che era la prima della giornata.
«Ecco il carpaccio
di capriolo» disse la ragazza appoggiando il piatto davanti
a lui. Bruno alzò lo sguardo per ringraziarla, come aveva
sempre fatto in ogni ristorante con ogni cameriere, fosse uomo
o donna. Ma quella volta si accorse che la ragazza esitò
nei suoi occhi un attimo di troppo, con una malizia che non gli
sembrava potesse appartenere a una donna. Si sentì in imbarazzo
e fu lui a distogliere per primo lo sguardo. Lei gli diede un'ultima
occhiata, come quelle che lanciano gli uomini verso una donna
che li attrae pensando a tutto il sesso che potrebbero farci,
e si allontanò.
Bruno cercò
di non pensarci e gustò il carpaccio boccone dopo boccone
concentrandosi solo su quel sapore, sul tempo trascorso dall'ultima
volta che lo aveva sentito. Ma dopo l'ultima forchettata quel
sapore l'aveva già dimenticato e, per nasconderselo, lo
affogò nel vino. Alle sue spalle sentì dei passi
lenti, quasi strascicati. E arrossì pensando alla ragazza
che gli si avvicinava con una lentezza imbarazzante, ancheggiando
un po' e ritardando il momento in cui si sarebbe trovata di fronte
a lui e magari si sarebbe seduta al suo tavolo. Che cosa le avrebbe
detto? Non alzò lo sguardo e forse chiuse gli occhi. Sentì
il profumo dei canederli al gulasch e il rumore della sedia accanto
alla sua che si spostava. La vecchia si sedette al suo tavolo
e cominciò a descrivergli il modo tradizionale in cui venivano
preparati i canederli. Lei aveva un segreto, e lo aveva trasmesso
alla nuora. Bruno si sentì sollevato da quella presenza
e lieto di stare ad ascoltare quella donna, ormai alla fine di
una lunga vita, che voleva lasciare in qualche maniera traccia
di sé. La sua ricetta dei canederli era forse uno dei pochi
modi che pensava di avere.
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