— Magari! — Replicò Imer, rivolgendo al cugino
lo sguardo degli occhi leali e sereni — Ma le bocche da
sfamare sono tante. Dobbiamo pensare anche alle famiglie degli
scafisti detenuti in Italia, e per lavorare in pace bisogna dare
a ciascuno la sua parte — e strizzò l’occhio
a Gezim facendo il gesto di gettare leggermente qualcosa in aria
con una mano1.
— A proposito
di soldi — disse Gezim, cacciando dalla mente la ridda di
pensieri che il gesto di Imer gli ispirò — Arben
si rifiutò di farci pagare la traversata.
— E’
normale, sa che siamo cugini — commentò Imer —
poi mi risulta che hai fatto un bel regalo al piccolo Sanimet.
Pagherai la prossima volta!
— Speriamo
che non ci sia più una prossima volta, non mi piace entrare
a casa degli altri di nascosto — alitò la donna cullando
la sua piccina che si era svegliata.
— E’
preoccupata — la giustificò Gezim, suo marito, rivolgendosi
al cugino —sostiene di avere un brutto presentimento.
— Ma no, Aleksandra!
Andrà tutto bene, viaggerai col mio gommone e ho fama di
miglior scafista di Valona — affermò Imer, raddrizzando
il collo e la schiena con un movimento pieno di strano orgoglio.
— La sciocchina
— riprese Gezim, smussando l’ingiuria con una sfumatura
affettuosa — è andata fino a Tirana per chiedere
il visto all’Ambasciata d’Italia!
— Ma non te
lo rilasceranno mai il visto Aleksandra! — Esclamò
Imer scotendo la testa con un sorriso sagace — devi solo
pazientare, prima o poi, Gezim si metterà in regola e potrà
chiedere il ricongiungimento familiare.
— Ma abbiamo
una bambina, Imer — gli disse Aleksandra prima di interrompersi
per uno scoppio di dolore, e, dopo aver superato un’emozione
che nessuno avrebbe potuto contemplare senza parteciparvi, continuò
abbassando la voce rotta qua e là, ma chiarissima: —
Ricordati che mio fratello Enver è stato inghiottito dal
mare…un giorno venne qualcuno, parlò di un naufragio,
fu un momento, un lampo, come una finestra bruscamente aperta
sul destino del mio amato fratello…poi tutto si richiuse;
non ne sentii più parlare, e per sempre2.
Ci fu un momento
di silenzio, un gemito dell’ombra che gli albanesi intendono,
poi Gezim si rivolse a sua moglie con una voce strangolata e con
tenerezza:
— Aleksandra,
vita mia, adesso che stai per fare la domestica a casa del mio
padrone, tutto sarà più facile per noi, risparmieremo,
e come ti ho promesso se riusciamo a finire di costruire la nostra
casetta prima di metterci in regola, torneremo lo stesso in Albania:
il poco basta e il troppo è assai.
— Bah! —
Esclamò Imer, scotendo la testa di scatto in perfetta armonia
con il dispregio espresso da quel monosillabo — Ma che vorresti
fare a Valona? Già è piena di gente venuta dalla
campagna e che lavora per quattro soldi.
— Lo so, Imer,
lo so — disse Gezim sconsolato e aggrottando pensosamente
la fronte, poi indicò con un cenno del capo la ragazza
coi fuseaux e sbottò: — La miseria offre e la società
accetta — sospirò e riprese — Prima della rivolta
del ‘91 il contadino aveva la certezza delle sementi, dei
concimi e dei mezzi agricoli ma oggi, anche i vecchi trattori
sovietici e cinesi sono completamente scomparsi per mancanza di
pezzi di ricambio e la nostra campagna si è trasformata
in una gran nuvola di polvere e disperazione3.
— Non possono
mica lavorare la terra come ai tempi di re Zog — commentò
Aleksandra.
— Se non ci
fossimo noi scafisti questo paese diventerebbe una gabbia per
topi affamati, finiremmo per ammazzarci fra di noi e vigerebbe
la hakmarria, la legge della vendetta4 — affermò
Imer amareggiato prima di rivolgersi a Aleksandra — Ti bagnerai
un po’, non potrò avvicinarmi troppo alla riva per
non fare incagliare il gommone, ma farò arrivare tutti
quanti sani e salvi come ho sempre fatto —promise, con grand’enfasi
e con fiducia innata nella forza della sua convinzione, ignaro
della tragedia che stava per investirli.
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